venerdì 11 novembre 2011

Musica e avanguardia

In ogni tipo di arte o di bene culturale, c'è una componente che, più visibile o meno, in base ai tempi che corrono, posizione l'opera su uno standard, oltre che qualitativo, anche temporale. In questo post voglio parlare del tema dell'avanguardismo nella musica, cercando di evitare però filosofeggiamenti "andergraund" che non mi appartengono e che solitamente utilizza chi vuole mascherare una propria incapacità di sentire a "pelle" ciò che è veramente rivoluzionario, da ciò che è solamente una copia. Tanto per intenderci, gruppi che producono rumori scuotendo pentole o rompendo soprammobili, non sono musicalmente all'avanguardia. Per quanto mi riguarda l'avanguardia musicale si valuta in base all'avanzamento tecnico e concettuale riguardo al campo strumentale, ma senza violentare le regole arcaiche che gestiscono l'ordine della musica stessa. Sembra una contraddizione, ma non lo è assolutamente, è solo una forma di garanzia nei confronti di un'arte. Altrimenti tutto può essere spacciato per avanguardia musicale. Suonare con le pentole può essere un qualcosa di innovativo dal punto di vista concettuale, ma dietro si nascone un'incapacità di concepire dal punto di vista sonoro una vera alternativa a ciò che è omologante e di pubblico dominio, quindi si ripiega su un vano tentativo di scioccare, far riflettere o focalizzare l'attenzione su altri aspetti, spesso secondari.

Nell'Italia patria del Futurismo abbiamo molti esempi che, sotto punti di vista differenti e stili diversi, hanno dato una sferzata decisiva al regolare corso musicale nel nostro paese. Visto che in questo periodo, come ho già avuto occasione di dire, sono molto impallato con Fabrizio De André, mi salta subito in mente il gruppo che, fin dalla prima uscita, ha dichiarato guerra sotto ogni aspetto al cantautorato "sermonico", maestro ed impegnato dei più. Gli Skiantos, con il loro punk-rock primordiale, hanno sovvertito certi valori sacri della musica italiana, prendendosi gioco degli stessi con toni surreali, ironici e demenziali, per poi trasformare le proprie musicalità in un ciclonico "new wave" nel famosissimo LP "Kinotto" che li lancerà verso lidi migliori di quelli riguardanti la Bologna operaia o "l'emilia paranoica", parafrasando un gruppo della quale parleremo dopo. Nelle loro canzoni traspare proprio l'intenzione di rompere con un mondo che si prende troppo sul serio: stiamo parlando degli anni 70, anni di piombo, dove le pallottole fischiavano per aria come a detta di alcuni, il vento negli anni della guerra. Fare ironia in un periodo del genere non era facile, si rischiava di essere presi per "fasci" o "compagni", in base alle istituzioni sacre che si andavano a dissacrare. Ma il gruppo ebbe la capacità di restare sorridente in un mondo di facce tese, prendendo in giro autonomi ("Io sono un autonomo"), forze dell'ordine ("Karabigniere blues"), rivoltosi ("Sono un ribelle mamma"), proibizionisti ("Il proibizionista") e il mondo della musica in generale, con l'eloquente "Largo all'avanguardia", che esordisce gridando "pubblico di merda". Quello stesso pubblico che, durante le loro esibizioni, lanciava in direzione del palco ortaggi, vestiti, bicchieri e che sfoggiava solitamente cartelli con su scritto dei "FATE CAGARE", riferiti al gruppo. 

Tralasciando climi surreali di questo tipo, ma continuando a parlare di cantautorato e musica impegnata, posso dirvi che mi è subito venuto in mente di un articolo che trovai sul web qualche tempo fa, pubblicato sul sito della rivista "Rolling Stones". L'articolo in questione intitolava: "C'è (anche) una Genova a cui non frega niente di De Andrè". Ovviamente questo pezzo venne massacrato dai più, che magari senza nemmeno leggerlo in tutti i suoi spunti, capirono si trattasse di un attacco nei confronti del poeta genovese. Invece si trattava di un'accurata analisi protratta da un ragazzo che vive a Genova e che fu protagonista di un movimento spontaneo che, alla musica "politica" dei 70's, impegnata nel sociale e movimentista, preferiva attraccarsi ad altri lidi, molto più progressivi, molto più british, accompagnati da un vestiario e uno stile decisamente più ricercato che manteneva i capelli lunghi e gli stivaletti ma eliminava le barbe da sovietici, prediligendo le discoteche ai concerti di finanziamento. Un movimento giovanile che ascoltava Emerson Lake & Palmer, Dire Straits, Alan Parson Project, la black music e altri generi emergenti considerati "out", dai conservatori supremi della "Rivoluzione". Questo movimento era quello della disco music, molte volte additato erroneamente come "omologante". In realtà sotto molti punti di vista era più all'avanguardia della musica impegnata, che proponeva un modello universale di pensiero dove se non te la intendevi in una certa maniera, non eri degno di partecipare e far parte della comunità. Questo secondo il mio parere è un esempio di come, qualsiasi tipo di cultura, quando viene seguita in maniera superficiale da molte persone, solo per un motivo aggregativo, si trasforma in qualcosa di medriocre e massificante, lasciando comunque la comprensione reale del significato ultimo a pochi. 

Detto ciò e tralasciando i risvolti politici di una generazione che alla fine dei conti fallì, proprio soffrendo della mediocrità dei propri affiliati, volevo collegarmi alla parola sopracitata: "progressive". La musica progressive è sicuramente un esempio lampante di elitarismo e avanguardia musicale. Riservata a pochi patiti e bandita ai falsi profeti che furono la sua rovina, la musica progressive univa concept, suoni innovativi, periodi e assoli inauditi e tempi decisamente fuori dal comune. Tutto ciò che la circondava era assolutamente onirico e grottesco, nelle sue forme più estreme aveva l'aspirazione di condurre l'ascoltatore in una dimensione mentale che veramente si distaccasse dalla realtà, infatti a volte l'acido lisergico faceva da coadiuvante a tutti ciò. Ricordiamo gruppi con nomi atipici, quasi fantasy: "Quella vecchia Locanda", "Il banco del mutuo soccorso", "Premiata Forneria Marconi", "Raccomandata ricevuta di ritorno", "Capsicum Red", "Il rovescio della medaglia" e tantissimi altri, più o meno rimasti nell'anonimato, recuperati dalla memoria solamente grazie al lavoro di qualcuno che quella musica la sentiva propria e non l'ascoltava solo perché faceva tendenza.

 Cambiando campo ci sarebbero tantissimi altri esempi da fare, uno su tutti è quello dei CCCP - Fedeli alla linea, punk filosovietico, musica melodica emiliana. Un gruppo sicuramente eccentrico, evidentemente dichiarato dal punto di vista politico ma così alto e intellettualmente elevato, da non cadere quasi mai nella retorica o nelle banalità. Quasi troppo elevato, tanto da risultare quasi "spocchioso" agli occhi del pubblico, che costrinse metaforicamente il cantante Giovanni Lindo Ferretti a ingaggiare un "artista del popolo", Danilo Fatur, per così avere un personaggio che unisse il gruppo ai suoi seguaci. Sviluppate le proprie musicalità in ambienti industrial, per passare attraverso ai più svariati generi di punk, il gruppo arrivò fino a dei veri e propri esempi di musica elettronica, sopratutto nell'album "Canzoni, preghiere, danze del II millenio Sezione Europa". Tutti unito a testi decisi, accattivanti, che a volte subordinavano l'uso corretto del vocabolo per una migliore percezione auditiva, come ad esempio nella parodistica canzone "Huligani Dangereux". Senza contare le critiche al mondo moderno, al consumismo, le analisi riguardanti i modus vivendi, la tradizione, la vita. Il gruppo poi si sciolse, formando in seguito i CSI, Consorzio Suonatori Indipendenti.


Mentre scrivo poi mi vengono in menti tantissimi altri esempi: gli Ain Soph e i SottoFasciaSemplice per quanto riguarda gli ambienti più esoterici e politicizzati, Elio e le storie tese (ridete pure, ma è stato un vero e proprio innovatore), i Timoria, l'ultimo periodo artistico di Lucio Battisti, Enrico Ruggeri e i Decibel e quanti altri... Tutti che, chi più che meno, hanno rappresentato e incarnato un certo modello avanguardistico, infrangendo schemi oramai consolidati, modificandoli per sempre. Tutti che meriterebbero una citazione per il coraggio, l'astuzia e l'intelligenza di provare e sperimentare con grande successo strutture mentali astratte applicate all'arte musicale. Senza contare tutti i gruppi che al buio di garage e cantine e di locali alternativi, hanno dato prova di genialità, ma che non sono mai riusciti a sfondare o a farsi conoscere a causa delle barriere di una certa cultura predominante e maggioritaria. Detto ciò mi scuso me aver tralasciato sicuramente gruppi e personaggi fondamentali per la disgressione del fenomeno nel nostro paese, ma mi pare di avervi già dato abbastanza da leggere, nella speranza che qualcuno, anche oggi, accolga nelle proprie sinapsi, il concetto ultimo del modello d'avanguardia: rompere con il passato, guardare (in questo caso ascoltare) avanti!

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